Introduzione

Dopo un ventennio di rinunzie alle allettanti chiamate dell’arte, vuoi per complessi fisici, vuoi per complessi spirituali, ho ripreso i pennelli per sfogare l’intossicazione interna.
Lontano da ogni conventicola, lontano dalle prediche, dai circoli piú o meno culturali, dalle chiesuole, ho sentito il bisogno di isolarmi e di cantare a piena voce a modo mio, a rischio mio.
Ho messo in opera quel bagaglio che tenevo pigiato in soffitta per nasconderlo a coloro che vogliono che tutto sia conforme, che tutto proceda sui soliti binari, controllati dai soliti guardalinee.
Segretari di grandi istituzioni artistiche, professori d’arte antica, censori presuntuosi d’arte di ogni tempo, non hanno visto allinearsi il sottoscritto con la fila dei postulanti, dei cercatori di gloria, degli affabili struscianti baciapiedi.
Io sono un ribelle. Mi piace in fin dei conti nuotare contro corrente e spruzzare acqua sulle facce di basilisco che stanno alla riva.
E se la riva c’è è quella dei fossi della palude nella quale vivo, in mezzo a capanni da pesca, a marcite, a risaie, a sfondi di colline argentate d’olivi.
La mia campagna è aspra, povera di colori, di ombre e di luci, piatta e sperduta, ma a me basta una pianta d’olivo, un pero, un fossatello lontano per i miei sfoghi.
Non ho grandi ambizioni, io; né mi faccio soverchie illusioni, né insisto troppo sulle mie tavolette. Mi stanco.
Ho gli occhi malati ed il fuoco di sant’Antonio che mi brucia le reni.
Tutto questo lascerà indifferenti i visitatori di questa raccolta; piuttosto mi diranno testacchione, cocciuto, visionario.
Ma se qualcuno trova un angolo tranquillo, un triangolo di calma, uno spiraglio di luce in queste mie tavole, è pregato di stringermi le mani; avrò ritrovato un po’ di comprensione nel mondo e tornerò, a modo mio, felice.
Mi domandano se vivo con la pittura. Pare impossibile, ma alla gente interessa sapere, prima di vedere i tuoi quadri, come vivi, cosa fai, con quale rendita puoi sfogarti con i colori.
È un fatto che si può vivere in tanti modi, magari soffrendo, anche molto, e non rinunziare a quel fuoco che ti scalda dentro.
Ed ecco i miei quadri, frutto di quel fuoco, riuniti in questa personale, forse polemica, ma esclusivamente mia, spoglia di quelle intossicazioni scolastiche che gravavano sui miei molteplici complessi e che ho scosso dopo anni di titubanza.
Sono libero, finalmente!

Virginio Bianchi
Massarosa, 1958

Autoritratto con casacca marrone
Autoritratto con casacca marrone
1950-1958
olio dipinto su scuro di finestra in legno
cm 82 x 67  -  32.3" x 26.4"

Con queste parole, rinvenute manoscritte sulle ultime tre pagine di un quaderno di appunti, Virginio Bianchi componeva nel 1958 un pensiero per introdurre la sua mostra alla Galleria Gussoni di Milano, dopo un lungo periodo di isolamento e introspezione in cui si era dedicato assiduamente alla pittura.

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