Alla riscoperta di Virginio Bianchi - di NICOLA MICIELI

Da “Il Tirreno” – Cronaca di Pisa – Martedì 22 Novembre 1983


PITTORE da riscoprire e convenientemente rivalutare è Virginio Bianchi (Massarosa ,1899–1970), che la galleria Centroartemoderna propone nell’antologica ordinata con amorevole cura dalla figlia dell’artista, Alberta Rossana.
Presentando la mostra al pubblico, i critici Dino Carlesi e Tommaso Paloscia hanno chiaramente indicato il senso del volontario isolamento in cui l’artista volle operare dopo il periodo attivissimo di Milano e Firenze, negli anni '20, quando il suo estro si esprimeva anche nella grafica pubblicitaria e nel fumetto.
In quel periodo non mancarono al giovane Bianchi sollecitazioni ed esperienze culturali di circolazione Europea, dai residui liberty agli stilemi futuristi; né ignorava gli insorgenti dettami di Novecento.
Anzi, per le sue radici toscane, dovevano risuonargli familiari gli inviti a realizzare immagini di composto ordine costruttivo.
Ma una sensibilità d’animo incline al colloquio sereno e familiare con la natura, la riservatezza del carattere, lo inducevano a rifiutare come non congeniali tanto l’azzardo sperimentale, l’avventura linguistica esplosiva che pure sarebbe stata possibile per i suoi mezzi inventivi e tecnici, quanto l’allineamento canonico al gusto imperante e ai pericoli sempre in agguato della retorica, poi tristemente dilagante.

Rio Nuovo
Rio Nuovo
1950-1958
olio su tavola
formato medio

Di Novecento, Bianchi condivise il buon principio della disciplina normalizzatrice, che poi fu per lui, come per molti ottimi pittori italiani dentro e fuori il movimento, l’ordine formale introdotto da Cézanne nel sensibilismo ottico impressionista, ossia superare l’aleatorietà dell’impressione visiva senza rinunciare all’intima vitalità della materia pittorica.
Al gigante di Aix-en-Provence guardò con simpatia Virginio Bianchi, nei lunghi anni sino alla guerra, dal suo appartato osservatorio di Massarosa, tra il lago di Massaciuccoli e la Versilia, pur frequentatissima da intellettuali e artisti.
E se durante il fascismo la solitudine lo manteneva estraneo alle smaccate e correnti contraffazioni culturali, nei decenni del dopoguerra lo sottrasse ai tardivi aggiornamenti che probabilmente Bianchi stimava altrettanto mistificanti, per lo meno strumentali e funzionali al consumo culturale più che a concrete necessità poetiche.
Per quanto siffatta posizione possa apparire opinabile, fu dettata dalla determinazione a non tradire convincimenti maturati per lunga riflessione e in rigorosa coerenza interiore.
Sarebbe quindi inutile e improprio cercare in Bianchi ciò che non può esserci: i riflessi delle contingenze linguistiche contemporanee.
Una volta sgombrata la mente dalle ipoteche delle avanguardie disattese, si scoprirà un artista di solida formazione e insolita finezza, fedele a una concezione della pittura quale immagine lirica della realtà quotidiana e della natura.
Che le apparenze sensibili siano strutturate in impianti plastici, che se ne colgano - come nelle opere più tarde – gli aspetti mutevoli per l’alternarsi delle stagioni e delle luci, a riflesso di emozioni e sentimenti nel cuore dell’uomo, riscoprire Bianchi è riassaporare il piccolo, autentico mondo della semplicità perseguita con amore ostinato.

Nicola Micieli